In questa meditazione ripenseremo il mistero della Chiesa, e il significato che il ministero assume in questa ottica, per trovare in esso orientamento per la nostra vita: lo cercheremo nel libro dell’Apocalisse, oggetto di lettura per il cammino quaresimale della nostro diocesi.
Si tratta dunque di un cammino comunitario: e l’Apocalisse stessa non è il frutto di un genio solitario, ma è l’opera di una comunità, la chiesa giovannea.
Sotto il forte simbolismo, l’Apocalisse esprime sostanzialmente la vita di una comunità che patisce sofferenza e martirio e tuttavia crede e spera. Non ostante gli artifici letterari e la complessità della composizione, è palpabile in essa l’esperienza di chiesa che l’autore e la sua comunità fanno, una chiesa travagliata ed amata, una chiesa che soffre non solo per la persecuzione ma anche per i propri peccati e tuttavia attende le nozze dell’Agnello.
L’intera Apocalisse è avvolta e sostanziata da un dialogo liturgico iniziale (1,4-8) e finale (22,20-21), nel giorno del Signore. Non si tratta quindi di seguire una semplice condotta etica, individuale o collettiva, ci dice l’Apocalisse, ma di vivere la propria esistenza nel dialogo orante con il Signore Gesù e nel servizio della sua e nostra chiesa e dell’umanità per la quale egli ha dato, e noi dobbiamo dare, la vita.
Leggere la storia con l’Agnello
Niente di meno: si sta parlando di una ministerialità radicale, che non concede spazi di riposo, spazi privati, se non in funzione del ministero.
Esprimendosi con il simbolismo proprio del suo genere letterario, la chiesa dell’Apocalisse riscopre il piano salvifico di Dio riguardante l’uomo e la sua storia, e lo riscopre nelle mani dell’Agnello che solo può aprirne i sigilli perché tutto venga a compimento.
Il veggente dell’Apocalisse piange perché non si trova chi apra il libro della storia. Siamo noi altrettanto capaci di prendere a cuore le sorti della nostra storia o almeno della nostra gente? Non dico fino a versare il sangue e neppure le lacrime, ma almeno fino ad accorarci per essa?
Il veggente Giovanni è il presbitero o l’apostolo o entrambi, non importa l’identificazione storica, è comunque colui che in virtù del suo ministero è chiamato a comprendere la storia con gli occhi di Dio, a leggerla per sé e per gli altri ed a testimoniare con la vita e con la Parola.
Ma senza l’Agnello la storia è illeggibile, o comunque indecifrabile, perché si può leggere quanto si vuole senza capire. Cerchiamo dunque di unirci a lui nel leggere il Libro della realtà e di trovarvi il senso della nostra vita.
La dimensione liturgica
La prima dimensione palpabile nell’Apocalisse è quella liturgica: tutto il libro ha un carattere marcatamente liturgico. Gli elementi esterni, come la menzione del giorno del Signore (1,10), i candelabri, i calici e l’incenso, le arpe e il canto, le vesti e il tempio, sono l’espressione della comunità ecclesiale, nella presenza di Cristo e dello Spirito.
E’ nell’esperienza liturgica, ci dice l’Apocalisse, che la Chiesa si purifica e impara a discernere la sua storia e la sua vocazione: impara ad essere capace di una lettura religiosa della storia – ciò vale per la chiesa nell’insieme e per ciascuno di noi -, a riscoprire l’identità ecclesiale in tutte le sue implicazioni e prenderne coscienza, a comprendere che la chiesa è animata dallo Spirito; a scoprire il Cristo del mistero pasquale, presente, che la purifica, la illumina, combatte e vince con lei; a scoprire attraverso il Cristo l’immensità ineffabile del Dio santissimo e onnipotente che però è padre di Cristo e padre nostro.
Il servizio
La prima nota del ministero è quella del servizio, ci proclama l’Apocalisse fin dal suo inizio:
“Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi servi le cose che devono presto accadere, e che egli manifestò inviando il suo angelo al suo servo Giovanni… (1,1-2).
Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza – [leggi: martirio] – resa a Gesù (1,9). Rapito in estasi, nel giorno del Signore…” (1,9-10).
Questo è il contesto: contesto di servizio, di annunzio e di martirio. Ma prima aveva detto:
“Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero e tutte le nazioni si batteranno per lui il petto. Sì, Amen! Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!” (1,4-8).
E’ già tutto qui: il creato, la storia, l’uomo, la chiesa; il passato, il presente, il futuro.
La dimensione trinitaria: l’Uno-e-Trino Signore
Tutto muove dal movimento trinitario,
il Padre che è, era e sarà,
lo Spirito settiforme (poiché tutto il messaggio dell’Apocalisse è iconico, la pienezza delle Spirito vi è rappresentata dai 7 spiriti che stanno davanti al trono),
il Figlio che è il re, il risorto, il redentore (1,4-5).
Da lui
viene la storia ed a lui torna (Io sono l’Alfa e l’Omega);
la grazia e la pace a causa del suo amore;
la redenzione nel sangue del Cristo;
il sacerdozio regale di cui tutti siamo rivestiti nel nostro battesimo;
la pienezza dell’alleanza promessa ai padri, nel Figlio dell’uomo che viene sulle nubi, nel misterioso trafitto che finalmente ogni uomo potrà contemplare.
Da lui viene la Chiesa , raffigurata nelle 7 lampade,
da lui vengono i pastori-episcopi, che sono i messaggeri-angeli, i portatori della parola e della grazia nella chiesa di Dio, raccolti nella destra del Figlio dell’uomo.
L’Agnello-Servo
Egli è descritto come sommo sacerdote (la lunga veste) e come Dio (i capelli bianchi).
E’ il re dei re e il Signore dei signori, il Signore della storia e il Vivente, ma ha condiviso la sorte degli uomini, la morte. La sua regalità viene dal servizio: è l’agnello (menzionato 29 volte) immolato ma risorto (5,6), in piedi ma come sgozzato, colui che detiene le chiavi della storia ma porta ancora in sé le stigmate della passione. L’Apocalisse è scritta in greco, ma nella lingua aramaica della comunità primitiva la parola talia’, “agnello”, significa anche “servo”.
Come agnello e come servo, Cristo vive nella chiesa e le dà vita, la giudica con la sua parola e la purifica dall’interno, l’aiuta a leggere la storia, a sconfiggere il male, la rende sua sposa.
La dimensione della sponsalità, come vedremo, è vissuta nell’Apocalisse dall’Agnello-Sposo oltre che dalla chiesa-Sposa.
La dimensione pastorale
I pastori della chiesa sono nelle sue mani, e come li tiene con amore perché servano la comunità può anche rimuoverli perché non le rechino danno.
Le lettere alle 7 chiese dell’Asia minore, molto realistiche, rappresentano delle tipologie di comunità ecclesiali che si riscontrano anche in mezzo a noi.
Gli angeli delle 7 chiese che stanno nella destra del Cristo esprimono il potere sovrano di Cristo sulla chiesa: ma chi o cosa sono? Sono stati interpretati come i singoli vescovi delle chiese, ma anche come i messaggeri incaricati di portare alle comunità il messaggio dell’Apocalisse (àngheloi) o le potenze angeliche tutrici delle comunità così come degli individui, della cui condotta sono responsabili. Al di là di tale questione, ci interessa vedere in essi i pastori da cui le chiese sono guidate, pastori che insieme alle loro chiese devono guardarsi e valutarsi con lo sguardo e il giudizio di Cristo. Le lettere alle 7 chiese rappresentano infatti una confessione che il Signore suscita nella sua chiesa. La sua luce illumina gli angoli più riposti e smaschera le illusioni, tanto da poter dire: “conosco le tue opere” (2,2.19; 3,1.8.15), “ricorda da dove sei caduto” (2,5), “rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire” (3,1-2). Anche la severità è un’opera dell’amore di Cristo: “Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo” (3,19).
Delle chiese, e dei pastori, le lettere lodano l’amore, il servizio e sopratutto la costanza nella sofferenza (particolarmente per Smirne e Filadelfia), e rimproverano la perdita dell’amore di un tempo, la falsa tolleranza di traviamenti intollerabili, lo stato di morte spirituale (Sardi), la tiepidezza (Laodicea): quest’ultima è oggetto del rimprovero più terribile: “Non sei né freddo né caldo… sono sul punto di vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: sono ricco, non ho bisogno di nulla, e non ti accorgi che proprio tu sei il più infelice, povero, cieco e nudo”. E’ ancora in tempo, però, a procurarsi ricchezze, vesti e medicine… se riconosce di essere in stato di bisogno. Ovvia la necessità di fare un esame di coscienza personale e comunitario su quanto il Cristo ci suggerisce…
Il veggente
La chiesa dell’Apocalisse è sempre una chiesa che deve testimoniare fino alla morte (2,13; 6.9; 11,3-7; 17,6); ma la missione della chiesa deve concretizzarsi, incarnarsi, nelle persone.
La parola di Dio, benché amara, è ciò di cui il profeta deve nutrirsi – perché non è nostra la parola che portiamo agli altri, né è un menu da cui possiamo scegliere: è un messaggio radicale che chiede risposta. Quello che è da incarnare, adattare, è l’attualizzazione, il modo di comunicare, e non il contenuto che non può essere oggetto di compromessi.
Già in Ez 2,8-3,3 si presenta l’immagine del profeta che si nutre della parola: “Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto all’interno e all’esterno e vi erano scritti lamenti, pianti e guai. Mi disse: Figlio dell’uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa d’Israele. Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo… io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele”.
Benché ingrata, la parola di Dio è dolce. Ma l’Apocalisse a questo proposito è più dura ancora; l’angelo dice al veggente, del libriccino contenente la parola che deve annunciare: “Prendilo e inghiottilo: esso sarà amaro al tuo stomaco, nella bocca sarà dolce come il miele. Presi, dunque, il libriccino dalla mano dell’angelo e lo inghiottii: nella bocca era dolce come il miele; ma dopo che l’ebbi inghiottito, le mie viscere si riempirono d’amarezza”.
Un boccone amaro può rivelarsi la parola di Dio al di là della dolcezza iniziale, quando entra nelle viscere per divenirvi carne nostra e nostro sangue: può darci il mal di stomaco, può intossicarci di sofferenza, ma è quel fuoco ardente di cui parla Geremia: “nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (20,9).
E Paolo rincalza: “guai a me se non evangelizzassi!” (1 Cor 9,16).
Quel che ci sostiene è la presenza di Cristo, che ci tiene nella sua mano e cammina nella sua chiesa, e l’amore per la sposa dell’Agnello.
La sposa dell’agnello
Nell’Apocalisse il termine ekklesìa compare ad indicarvi una realtà locale bene determinata (2,1 ecc.), ma anche una totalità generalizzata (1,4.11.20: le 7 chiese che sono nell’Asia) che va al di là delle concretizzazioni spazio-temporali per costituire l’insieme della chiesa universale.
In Apocalisse infatti la chiesa è una totalità liturgica in cui è presente Cristo (1,20; 2,1: i 7 candelabri); è una realtà terrestre che patisce il travaglio della storia (la donna che si rifugia nel deserto: cap. 12) ma riflette la trascendenza di Dio e ne sperimenta la cura (è vestita di sole; le vengono date le ali della grande aquila, immagine dell’amore materno di Dio).
E’ in stato di pellegrinaggio (12,6), la Gerusalemme terrena (cap. 11) che cammina verso la Gerusalemme nuova (21,1-22,5), la fidanzata che diviene sposa (21,2.9; 22,17).
L’ecclesiologia dell’Apocalisse si sintetizza nell’unione delle due immagini, città e sposa:
“Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa per il suo sposo” (21,2). “Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’agnello… E mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima… Le mura della città poggiano su 12 basamenti sopra i quali sono i 12 nomi dei 12 apostoli dell’agnello” (21,9-14).
Allora, poiché è il pastore che incarna nella storia la sponsalità dell’Agnello:
- Quanto dobbiamo amare questa povera chiesa di Dio, infangata e acciaccata e dolente, ma risplendente, sotto le vesti stracciate, della gloria dell’Agnello! Anche noi ne facciamo parte, siamo un solo corpo, e quindi non possiamo giudicare dall’esterno i suoi fallimenti e le sue debolezze, perché sono i nostri fallimenti e le nostre debolezze, dei pastori come degli altri fedeli.
- È una chiesa peregrinante: un popolo che cammina col passo del più lento, e dobbiamo averne com-passione, cioè patire-con tutti i suoi membri, accoglierli, ascoltarli, avere pazienza con i più antipatici come con i più simpatici, perché il nostro tempo è al loro servizio e non possiamo accantonarne qualcosa per noi se non in modo funzionale allo svolgimento del ministero; questo vale non solo per i battezzati praticanti, naturalmente, ma per tutta la comunità degli uomini, perché verso tutti è rivolto il nostro servizio.
- È una realtà che investe profondamente l’aspetto personale di tutti gli individui che ne fanno parte, ma è anche città: presenta un aspetto sociale che si sviluppa al suo interno nella comunione ed al suo esterno come missionarietà e dialogo.
È una realtà che riceve il suo essere dall’amore di Cristo: non è autoreferenziale.
L’amore di cui la chiesa è oggetto, l’amore di cui la chiesa è capace, l’amore che esprime la sponsalità di Dio, è l’amore dell’agnello.
Solo quando questo amore, nella sua incarnazione terrena, si sarà elevato e purificato, quando la chiesa amata sarà divenuta capace di amare, allora si compirà perfettamente la sua santità.
- È una chiesa che si rinnova, si purifica, cerca di percepire la voce dello Spirito.
In cammino fra il già e il non ancora, si mette in uno stato di purificazione interiore sotto il giudizio della parola di Cristo, che la chiama a guardare dall’alto le proprie azioni.
- È una comunità animata dallo Spirito ma anche una chiesa fondata sugli apostoli, come testimonia il Discepolo Amato alla cui testimonianza si fa risalire il IV Vangelo e che rappresenta probabilmente l’aspetto carismatico della comunità, ma è sempre associato a Pietro: se lo precede al sepolcro vuoto però lo attende (cap. 20), ed è sulle orme di Pietro che segue il Signore Risorto (cap. 21). La chiesa è questa realtà in tensione dinamica fra carisma e istituzione, tra afflato spirituale e organizzazione gerarchica.
Il tempo incalza: l’eternità ci viene incontro.
“Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni! E chi ascolta ripeta: Vieni!... Vieni, Signore Gesù” (22,17.20).
Ogni momento della nostra vita è questo kairòs, il momento favorevole della grazia. Tutto è dono: forte è l’insistenza sulla gratuità del dono su cui possiamo contare. 21,6: “A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita”. 22,17: “Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita”.
Gratuito è il dono, ed anche la fatica che peniamo nella storia è grazia.
La sposa, Gerusalemme, discende dal cielo perché il suo compimento è dono, ma a noi è chiesta la costanza perché si realizzi.
Spunti di preghiera
Agnello di Dio, apri per noi il libro della storia, il libro della nostra vita e della vita della nostra gente, ed insegnaci a leggerlo con il tuo sguardo di Salvatore.
Fa’ che troviamo in esso il senso più profondo della nostra esistenza.
Uno e Trino Signore, da te, per te ed a te ogni cosa: da te la grazia e la pace, da te la redenzione, da te il sacerdozio regale della Chiesa, da te ogni ministero.
Dai al nostro servizio sacerdotale santità ed efficacia perché la tua parola giunga agli uomini e la tua grazia li ricolmi.
Figlio dell’uomo, servo sofferente del Signore, modella la nostra vita sopra la tua. Nutrici della tua parola, anche se ciò che ci appare dolce si può mutare in boccone amaro.
Vinci l’incostanza e l’insofferenza, la rilassatezza e la tiepidezza da cui siamo continuamente tentati.
Cristo Gesù, l’amore di cui la Chiesa è oggetto viene da te; l’amore di cui la Chiesa è capace viene da te.
Pervadila del tuo Spirito, purificala nella tua santità, conducila al Padre per le vie del mondo.
Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni! E chi ascolta ripeta: Vieni!... Vieni, Signore Gesù.
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